D. Mastroberardino

Irpinia, terra di vigneti, noccioli e castagni. Verdi panorami di monti, cascate, boschi e natura incontaminata, case e ferrovie abbandonate, fattorie e sapori antichi, animali servatici, borghi e castelli che narrano di una storia senza tempo.Tra i luoghi di più magica atmosfera c'è Castelvetere sul Calore; un borgo di vicoli, scale, piazzette e chiese antiche. Panoramiche, chiostri, loggette e fontane.

 

 

Meritano una visita: i resti del castello di origine longobarda e l'albergo diffuso; un complesso turistico, inserito nel borgo medievale, in cui ci sono gli alloggi, una carinissima osteria, dove mangiare piatti tipici della tradizione culinaria irpina e  una bottega di prodotti tipici locali.

 

 

All'ingresso del paese è possibile ammirare la fontana dello zoppo; lo scroscio dell'acqua rimanda ad un tempo lontano, ai panni battuti e al vociare delle lavandaie.

 


 

 

 

 

 

D. Mastroberardino

Il perfetto connubio tra maschere, musica, danze e vino trova il suo Eu-Topos reale in Montemarano. Il piccolo diamante irpino, famoso per il vino e la tarantella, vanta una secolare tradizione carnevalesca e i suoi abitanti la perpetuano ogni anno, per i 3 giorni prima delle ceneri, con una grande festa che si snoda lungo le strade del borgo, con carri, sfilate, danze e degustazioni. Una fiumana di maschere e colori, aglianico e tarantelle popolano i vicoli del paese e ogni visitatore viene completamente travolto dall’allegria della festa e dal ritmo della tarantella.

Il carnevale montemaranese termina la domenica successiva al martedì grasso, con il “Carnevale Morto", quando, dopo il commiato funebre, ironico, ci si lancia in un ultima danza sfrenata fino alla rottura della pignata, dalla quale fuoriescono biscotti e dolci, di buon auspicio per la primavera agreste che verrà. La Maschera storica, simbolo del Carnevale di Montemarano è il Caporabballo, colui che dirige la tarantella ritmica e coinvolgente che si balla in cerchio. La montemaranese non ha un schema preciso, non ha un inizio nè una fine, è una musica d' improvvisazione crescente, proporzionale al cerchio che si allarga e si moltiplica, che coinvolge sempre più cittadini e visitatori e in cui confluisce  l’energia della coralità e della spontaneità che la caratterizza. Alcune fonti ritengono che questa danza abbia origini bulgare, altre sostengono l’autenticità delle sue origini irpine.

Presso il Palazzo - Castello di Montemarano, il castello medievale che nel ‘600 ospitò anche Gianbattista Basile, negli anni in cui ultimava “Lo cunto de li cunti”, è possibile visitare un’interessante mostra pittorica di Aldo De Francesco, intitolata “Festabarocca”, in cui, il rosso predominate e la dinamicità plastica delle maschere estatiche rimandano alle baccanali greche, ai saturnali e alle atellane romane , le feste antesignane del Carnevale.

 

 

D. Mastroberardino

Avevo un imperativo per le sospirate vacanze.

Desideravo intraprendere la rotta che mi avrebbe portato in qualche piccola isola. Favignana e le Egadi erano in cima alle mie preferenze. In passato avevo visto un bel reportage su questo piccolo paradiso e poi perché quest’angolo di Sicilia, tra i più remoti da raggiungere, è quello a me più sconosciuto. Alcuni anni fa, in occasione di una visita veloce a Trapani, mi aveva colpito la bellezza dei luoghi. Era un sabato soleggiato di novembre e con le Donne del Vino visitammo le saline. Appena oltre la baia e, dunque, quasi a portata di mano, si scorgeva l’isoletta di Mozia, una sorta di avamposto della terra ferma verso le Egadi.

Non mi ero tanto sbagliata. Infatti, tranne l’isola di Maretimo, l’unica ad essere di origine vulcanica, Favignana e Levanzo, le altre due isole dell’arcipelago, un tempo erano parte della terraferma. Fu alla fine della glaciazione che scomparvero, sotto le acque, le parti di più basse della costa e nacquero così buona parte delle Egadi.

D. Mastroberardino

Due settimane in Asia a luglio e qualcuno penserà che i miei voti a scuola in geografia non fossero granché, ma sbaglierebbe. Pur consapevole che piena estate non è la stagione migliore per viaggi in Estremo Oriente, ho deciso che, dopo il Giappone, avrei colto, comunque, l’occasione per visitare altri clienti volenterosi di fare insieme attività promozionali e far conoscere di più i vini Terredora, frutto di una bellissima terra, l’Irpinia.

Dopo l’ultima serata a Singapore, di buon’ora e in anticipo come solitamente preferisco essere quando viaggio, sono in aeroporto con l’incubo che “aliti ancora di Durian”.

Ho il volo per Taipei e un weekend di degustazioni a Taiwan che mi aspetta.

Arrivo sull’isola sotto una pioggerella fitta che, scoprirò, è la coda di un tifone chissà se è lo stesso di quello di Osaka, non lo so, so solo che mi deprime: per me la pioggia è, come nei versi di Baudelaire, spleen…

D. Mastroberardino

Di buon mattino il mio viaggio per tornare a casa comincia a Taipei, prima tappa Bangkok.

L’aeroporto thailandese è un tripudio di colori e di orchidee che creano la suggestione di essere nel mezzo di una serra che accoglie specie differenti viaggiatori così come di questo splendido fiore, che io, per inciso, adoro in tutte le sue forme.

Ero arrivata a Bangkok un po’ seccata. In barba alle preferenze dichiarate, mi toccherà, sul volo successivo, un posto di finestrino, mentre io “amo” il corridoio. Non chiedetemi perché, posso solo dire che mi piace potermi alzare liberamente, anche se poi non è detto che la faccia spesso.

Mentre mi avvio al banco dell’imbarco per verificare, se, all’ultimo, riesca nel desiderato cambio, vedo una sedia a rotelle con un robusto signore, molto avanti negli anni. Nonostante una mia certa dose di fortuna, finirò per dovermi accomodare nel posto di finestrino per le dodici ore di questo volo.

D. Mastroberardino

Arrivo a Singapore certa che avrei trovato un angolo di Asia in cui è impresso ritmo e produttività; non a caso con Korea del Sud, Taiwan e Hong Kong negli anni novanta è stata definita una delle tigri asiatiche e non certo perché le sue giungle erano di salgariana memoria.

Quello a cui non ero preparata, è che di questo posto mi potessi quasi far innamorare; nonostante tutto potrebbe essere uno dei pochi in Asia dove, se non fosse per il caldo, potrei pensare di vivere.

Aiuta tanto l’eredità di ex colonia britannica, qui la lingua ufficiale è l’inglese, quindi non devo combattere ogni momento cercando di farmi capire atteso che sono troppo vecchia per pensare di imparare altri idiomi tanto lontani dalla mia cultura.